IL GIUDICE DI PACE

    Il giudice di pace di Modica, avv. Giuseppe Finelli, ha emesso la
seguente  ordinanza  nel  procedimento civile iscritto al n. 588/2003
ruolo   gen.   affari  contenz.,  promosso  da:  Barravecchia  Tabbi¨
Vittorio,  nato  a Caltagirone (Catania) il 14 marzo 1980 e residente
in  Vittoria, via Marsala n. 2/E, elettivamente domiciliato in Modica
via  S.  Cuore  n. 101  (presso  avv. Carmelo Nigro) presso lo studio
dell'avv. Paolo Picci del Foro di Ragusa che lo rappresenta e difende
giusta mandato a margine del ricorso in opposizione ex artt. 22 e 23,
legge n. 689/1981 introduttivo del giudizio; ricorrente opponente;
    Contro:  prefettura  di  Ragusa  (oggi  ufficio  territoriale del
Governo di Ragusa), in persona del Prefetto legale rappresentante pro
tempore,  domiciliato ex lege presso gli uffici dell'ente, resistente
opposto;
    Avente ad oggetto: opposizione avverso verbale di contestazione a
violazione di norme del codice della strada.

                              F a t t o

    Con  ricorso  depositato  il 13 novembre 2003 Barravecchia Tabbi¨
Vittorio ha proposto opposizione avverso il verbale di accertamento e
contestazione  n. 254211  S  -  redatto  dalla  Polizia  di Stato del
Commissariato  di  Modica  nei  suoi  confronti  quale  conducente  e
proprietario  dell'autovettura  TOYOTA  COROLLA  targata  CC 019GZ  e
relativo alle infrazioni dallo stesso commesse in violazione all'art.
172,  comma  1 e 8, c.d.s. in quanto, alla guida di detta autovettura
lungo  la  via  del Laghetto in localita' Marina di Modica, circolava
non  facendo  uso  della cintura di sicurezza - con il quale e' stata
comminata  la  sanzione  amministrativa  del pagamento della somma in
misura   ridotta   di  Euro 68,25  e  l'avvertenza  che  la  commessa
infrazione  avrebbe  comportato  la  decurtazione di n. 5 punti dalla
patente  di  guida  che  si  sarebbero raddoppiati qualora la patente
fosse stata rilasciata da non oltre cinque anni.
    Con  la  detta  opposizione  il  ricorrente  ha  chiesto,  previa
sospensione  preliminarmente  della  sua  esecuzione,  annullare  nel
merito  il provvedimento impugnato, con vittoria di spese e compensi,
deducendo in particolare:
    1.  -  La illegittimita' costituzionale dell'art. 204-bis comma 3
del   decreto   legislativo   n. 285/1992  -  cosi'  come  introdotto
dall'art. 4  comma  1-sexties  della  legge 214 del 1° agosto 2003 di
conversione  del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003 recante «modifiche ed
integrazioni del codice della strada» - per violazione degli artt. 3,
24   e   113   della  Costituzione  in  quanto  la  sua  applicazione
comporterebbe   una   disparita'  di  trattamento  tra  soggetti  con
capacita'  economiche  differenti, nonche' la conseguente restrizione
del  libero  esercizio  di  difesa  da  parte  di  tutti  i cittadini
indipendentemente dalle proprie condizioni economiche;
    2.  -  L'eccesso  di  potere e violazione di legge per difetto di
atti  presupposti  in relazione all'art. 1126-bis, comma 4, del nuovo
c.d.s.  attesa  la  mancata  emanazione,  da  parte  delle competenti
autorita'  all'uopo  delegate,  dei  criteri,  programmi  e modalita'
relativi   ai   previsti  corsi  di  aggiornamento,  con  conseguente
contraddittorieta'  ed  illogicita'  del  comportamento  della  P.A.,
peraltro lesivo dell'interesse dei cittadini;
    3.  -  La violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di
istruttoria  in  relazione  all'art. 26-bis  del  nuovo  c.d.s.,  dal
momento che detta norma puo' trovare applicazione solo per le patenti
rilasciate  successivamente  al 1° ottobre 2003 e non puo' retroagire
sino  a ricomprendere nel proprio ambito di applicazione anche quelle
rilasciate anteriormente a tale data.
    Ha  quindi  concluso  chiedendo  nel  merito  l'annullamento  del
verbale opposto.

                            D i r i t t o

    Il  ricorso in opposizione di cui infra introduttivo del presente
giudizio  e'  stato  depositato  in cancelleria il 13 novembre 2003 e
pertanto  questo  giudice, al fine di emettere i provvedimenti di cui
all'art. 23  della legge 24 novembre 1981, n. 689, oltre a verificare
la  tempestivita'  della  sua proposizione ed il conseguente rispetto
dei termini stabiliti dalla legge il cui superamento comporterebbe la
relativa  dichiarazione di inammissibilita', deve altresi' verificare
-  anche  in  questo  caso  a  pena  di inammissibilita' del proposto
ricorso  -  se  all'atto  del  suo  deposito il ricorrente ha versato
presso  la  cancelleria  dell'ufficio  una  somma pari alla meta' del
massimo  edittale  della  sanzione inflitta dall'organo accertatore e
che  non  sia  stato  previamente  presentato  ricorso al Prefetto ex
art. 203 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Siffatte due
ulteriori  condizioni  preliminari  di  ammissibilita'  del  ricorso,
infatti,   sono   previste   dall'art. 204-bis   del   detto  decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cosi' come introdotto dalla legge
1°   agosto   2003,   n. 214,   che   ha  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151. Detta legge,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12 agosto 2003, e' entrata in
vigore  il  giorno  successivo  a  quello  della sua pubblicazione e,
pertanto, nel caso che ci occupa deve essere osservata ed applicata.
    Nel  caso  specifico, proposto nei termini di legge il ricorso in
opposizione,   l'opponente  ha  altresi'  regolarmente  provveduto  a
depositare  in  cancelleria  - unitamente a detto ricorso - una somma
pari  alla  meta'  del  massimo  della pena edittale a mezzo deposito
giudiziario  su  libretto  postale con causale «deposito cauzionale»,
cosi'  come previsto dalle circolari esplicative del Dipartimento per
gli  affari  di giustizia all'uopo emanate in conseguenza della nuova
formulazione  dell'articolo che ha disciplinato il ricorso davanti al
giudice  di  pace  avverso  il  verbale di accertamento che impone il
pagamento  di  una  sanzione  pecuniaria  e  che ha introdotto alcune
innovazioni  procedurali  incidenti  in modo rilevante sull'attivita'
delle cancellerie.
    Tuttavia,  come  gia'  evidenziato,  tra  i motivi della proposta
opposizione    il   ricorrente   ha   preliminarmente   eccepito   la
illegittimita' costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto
legislativo  n. 285/1992  -  cosi' come introdotto dall'art. 4, comma
1-sexties  della  legge  n. 214 del 1° agosto 2003 di conversione del
d.l. n. 151 del 27 giugno 2003 recante «modifiche ed integrazioni del
codice  della  strada» - per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione.

                       Motivi della decisione

    Anche questo giudice ritiene che la citata norma non sia conforme
al  dettato  costituzionale  ed  intende  pertanto sollevare, come in
effetti    solleva,    questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 204-bis,  comma  3,  del  decreto legislativo n. 285/1992 -
cosi'  come  introdotto dall'art. 4, comma 1-sexties, della legge 214
del  1° agosto 2003 di conversione del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003
recante  «modifiche  ed  integrazioni  del  codice  della strada» per
violazione  degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione per i seguenti
motivi.

                   Sulla rilevanza della questione

    Nel  caso  che  ci  occupa  il  collegamento giuridico tra la res
giudicanda  e  la  norma  ritenuta  incostituzionale appare del tutto
evidente  e  cio'  sotto  un  duplice  profilo. Principalmente assume
manifesta  rilevanza,  ai  fini  della  decisione,  la  questione  di
carattere  assolutamente  preliminare  relativa  alla  applicabilita'
della  norma  de  quo  che  costituisce  il  referente  normativo  di
riferimento  in combinato disposto con quanto previsto e statuito dal
medesimo  art. 204-bis ai commi 5 e 6 introdotti dal medesimo art. 4,
comma 1-sexties della legge 214 del 1° agosto 2003 di conversione del
d.l. n. 151 del 27 giugno 2003.
    Ed  invero,  il  comma 3 della citata norma recita: «All'atto del
deposito   del   ricorso,   il  ricorrente  deve  versare  presso  la
cancelleria  del  giudice  di  pace,  a pena di inammissibilita', una
somma  pari  alla  meta' del massimo edittale della sanzione inflitta
dall'organo  accertatore.  Detta  somma,  in caso di accoglimento del
ricorso,  e'  restituita  al  ricorrente.»;  i successivi commi 5 e 6
rispettivamente  statuiscono: «... 5. In caso di rigetto del ricorso,
il giudice di pace, nella determinazione dell'importo della sanzione,
assegna,  con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione
cui   appartiene   l'organo   accertatore,   la   somma  determinata,
autorizzandone  il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in
caso  di  sua capienza; ... omissis ... La eventuale somma residua e'
restituita  al  ricorrente ... 6. La sentenza con cui viene rigettato
il  ricorso  costituisce  titolo  esecutivo per la riscossione coatta
delle somme inflitte dal giudice di pace che superino l'importo della
cauzione prestata all'atto del deposito del ricorso.».
    Dai   superiori  riportati  dettati  e'  del  tutto  evidente  la
rilevanza, nel presente procedimento, della questione di legittimita'
costituzionale  dal  momento  che  questo  decidente, con la emananda
sentenza   che  decide  nel  merito  la  proposta  opposizione  -  in
applicazione  della  nuova  normativa  de quo introdotta e che con il
presente  atto  si  vuole sottoporre al vaglio di legittimita' - deve
anche  pronunciarsi  in merito alla assegnazione delle relative somme
di   cui   all'effettuato   deposito   cauzionale,   con  l'ulteriore
conseguenza che, nel caso in cui il proposto ricorso venga rigettato,
la  detta  pronuncia  costituira' titolo esecutivo per la riscossione
coatta  delle  somme  che  il  ricorrente sara' tenuto a pagare e che
superino  l'importo della cauzione prestata all'atto del deposito del
ricorso.
    Senza l'intervenuta norma de quo e/o in caso di sua dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale, questo giudice non avrebbe motivo
di  pronunciarsi  in  merito  alla  destinazione  della  somma di cui
all'effettuato deposito giudiziario in quanto essa rientrerebbe nella
esclusiva  disponibilita'  del  depositario che ne sarebbe, pertanto,
l'unico titolare e soggetto legittimato al suo utilizzo. L'effettuato
deposito  cauzionale,  infatti,  non  essendo piu' previsto a pena di
inammissibilita'  del  proposto ricorso e con il venir meno della sua
diretta causale, rientrerebbe immediatamente nella disponibilita' del
soggetto  intestatario  e  le relative somme depositate non sarebbero
piu'  vincolate  all'esito  del procedimento, con l'ulteriore diretta
conseguenza  che  questo  giudice  non  dovrebbe piu' adottare alcuna
pronuncia in merito alla destinazione delle dette somme.
    In  secondo  luogo  la  questione  di legittimita' costituzionale
della norma de quo assume manifesta rilevanza ai fini della decisione
in  quanto  la  stessa  e'  stata  preliminarmente  eccepita da parte
ricorrente   in   seno  all'atto  introduttivo  del  procedimento  e,
pertanto,  questo  giudice  non puo' esimersi da un pronunciamento in
merito.  L'incoato  giudizio  di  opposizione  de  quo,  infatti,  e'
strutturato in conformita' del modello del processo civile e risponde
alle  regole,  in particolare, della domanda (art. 90 c.p.c.) e della
corrispondenza  tra  il  chiesto e il pronunciato e del divieto della
pronuncia    d'ufficio    su    eccezioni    rimesse   esclusivamente
all'iniziativa  della parte (art. 112 c.p.c.), nonche' ai limiti alla
modificazione  della  causa  petendi  (art. 183  c.p.c.) che, in tali
giudizi,  resta  individuata  sulla  base  dei motivi di opposizione.
L'omessa  pronuncia  avverso  specifiche eccezioni fatte valere dalla
parte,  peraltro,  integrerebbe una violazione dell'art. 112 c.p.c. e
costituirebbe  una  violazione  della  corrispondenza  tra  chiesto e
pronunciato  che  potrebbe  essere fatta valere a norma dell'art. 360
n. 4 c.p.c.
    Da  ultimo, in ogni caso, e' bene evidenziare che la questione di
legittimita'  costituzionale  di una norma puo' essere rilevata anche
d'ufficio  non  solo  per  risolvere il merito della controversia, ma
pure  per  risolvere  dubbi  su  questioni  pregiudiziali  rilevabili
d'ufficio  considerato  che  il giudice e' chiamato - sia pur in modo
indiretto  o  implicito  - a far applicazione delle norme nelle quali
trovano  legittimazione  l'atto impugnato ed il relativo procedimento
instauratosi con la proposta impugnazione dello stesso.
    Per  i superiori motivi, pertanto, e' doveroso da parte di questo
decidente  sottoporre  alla  Corte costituzionale il quesito relativo
alla  legittimita'  -  sotto vari profili - della imposizione posta a
carico  del  ricorrente  dall'art. 204-bis  c.d.s.  in  relazione  al
dettato costituzionale.

                  Sulla non manifesta infondatezza

    1. - Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
    Gia' dalla semplice lettura della norma de quo la quale impone al
ricorrente il deposito di una cauzione al fine di non incorrere nella
dichiarazione  di inammissibilita' dell'azione dallo stesso proposta,
e'  innegabile  che siffatto onere costituisce uno di quegli ostacoli
di  ordine  economico che rende vano il principio di eguaglianza, nel
suo  assetto sostanziale, qual e' quello proclamato e considerato dal
costituente  nel dettato dell'art. 3 della Costituzione, ostacolo che
ponendo   i  non  abbienti  -  a  cagione  della  loro  condizione  -
nell'impossibilita' di fatto di esercitare taluni dei propri diritti,
sia  pure riconosciuti loro teoricamente, e' compito della Repubblica
rimuovere.
    Ed  invero,  a voler ritenere l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile
1992,  n. 285,  introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha
convertito  in  legge,  con  modificazioni,  il  d.l. 27 giugno 2003,
n. 151,  conforme  ai dettati delle norme costituzionall occorrerebbe
affermare  che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a
cittadino  e Pubblica Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente
e  cittadino  non  abbiente, non violi alcun precetto costituzionale.
Siffatto  assunto,  tuttavia,  non puo' essere sostenuto in quanto la
normativa  de quo, invece, a parere di questo giudice lede il diritto
fondamentale  dell'individuo espressamente tutelato dall'art. 3 della
Costituzione della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e
non  abbienti  su  un  piano di disuguaglianza fra loro e permettendo
esclusivamente al soggetto che sia in possesso di una somma di denaro
-  addirittura  doppia  rispetto  a  quella  che gli consentirebbe di
definire  la pendenza mediante pagamento in misura ridotta - di poter
tutelare i propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace. Cio'
a  maggior  ragione  se si considera, altresi', che il detto deposito
cauzionale puo' raggiungere importi ingenti. A mero titolo di esempio
basti notare che il ricorso avverso la contestazione della violazione
di   cui   all'art. 179,   comma   2-bis,   c.d.s.,  ultimo  periodo,
comporterebbe  una  «cauzione»  di  euro  3.200,  pari alla meta' del
massimo  edittale  di  euro  6.400,  somma  da  considerarsi peraltro
ipoteticamente   sovrabbondante  rispetto  alla  sanzione  che,  come
previsto   dalla   legge,  potrebbe  essere  determinata  dal  libero
convincimento del giudice.
    Ne',  di  contra  e'  sostenibile  la  tesi  che  al soggetto non
abbiente  sarebbe comunque data la possibilita' di presentare ricorso
al  prefetto,  non  prevedendo tale procedura il versamento di alcuna
cauzione.  Cio', a maggior ragione, evidenzierebbe come il ricorso al
giudice di pace sia stato trasformato in un mezzo di tutela riservato
esclusivamente a soggetti facoltosi, oltre che tale scelta della sede
ove tutelare i propri diritti distinguerebbe e meglio discriminerebbe
i  cittadini  sul  piano  economico  e  sociale limitando di fatto la
liberta'  e  l'uguaglianza degli stessi. L'imposizione del versamento
della  cauzione  previsto  per  la  tutela dei diritti del ricorrente
nella  sola  sede  giurisdizionale, infatti, oltre a rappresentare un
ingiustificato quanto ingiusto vantaggio per l'autorita' opposta che,
a  differenza dell'opponente, in caso di vittoria ha immediatamente a
propria   disposizione  quanto  eventualmente  dovuto,  non  assicura
inoltre la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi a coloro i quali non dispongono di una
sufficiente  agiatezza  economica,  in tal modo ledendo gravemente il
diritto  di  difesa.  E'  indubbio,  pertanto, che l'art. 204-bis del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1°
agosto  2003,  n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni,
il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, nell'indurre - di fatto - il
ricorrente  a  desistere  dal  tutelare  i  propri  diritti  in  sede
giurisdizionale,  scoraggia  l'unico mezzo di tutela che quest'ultimo
ha  a  propria disposizione, costringendo o comunque inducendo i meno
facoltosi  a  presentare ricorso al prefetto per la tutela dei propri
diritti,   sede   in   cui   peraltro   in   caso   di   accoglimento
dell'opposizione  il  ricorrente  non  viene affatto rifuso ne' delle
eventuali  spese  sostenute per l'assistenza di un professionista ne'
delle spese vive sostenute.
    E'  del  tutto  evidente,  alla  luce  di  quanto  sopra, come il
disposto che questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale
censura  in  quanto  l'art. 3  della  Costituzione  della  Repubblica
italiana  prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia'
creare,  ostacoli  di  ordine  economico  e sociale che, limitando di
fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno
sviluppo   della   persona   umana.  Non  condivisibile,  poi,  nella
fattispecie  sarebbe la tesi sostenuta dal Giudice delle leggi con la
sentenza  n. 522/2002  laddove  ritiene  che  la  lesione dell'art. 3
Cost.,  sotto  il  profilo  della  disparita' di trattamento, sarebbe
insussistente   essendosene   il  legislatore  fatto  carico  con  la
disciplina del gratuito patrocinio. Nel caso in esame, infatti, detta
disciplina e' manifestamente non applicabile perche' non prevista dal
legislatore e, pertanto, il principio della disparita' di trattamento
diventa di solare evidenza.
    La  cauzione  per  accedere  ad  un servizio primario come quello
della  giustizia  non  e' nei principi della nostra Costituzione e la
norma  che  la prevede viola l'art. 3 della nostra Carta fondamentale
per  disparita'  di  trattamento  fra  cittadino  in  grado di pagare
immediatamente   la   cauzione  dovuta  per  ottenere  una  decisione
giurisdizionale e quello privo dei mezzi necessari per tale pagamento
al  quale,  invece,  l'onere  di  versare  somme  eventualmente anche
ingenti  rende  la proposizione del ricorso inammissibile. E' chiaro,
oltre che pacificamente riportato nel dettato costituzionale, come il
principio  secondo  il  quale  tutti possono agire in giudizio per la
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi  legittimi  deve  trovare
attuazione  uguale  per tutti indipendentemente da ogni differenza di
condizioni  personali e sociali. E' poi altrettanto chiaro e pacifico
che l'art. 204-bis c.d.s. ricollega invece l'istituto alle condizioni
economiche   dell'attore  e,  quindi,  proprio  a  quelle  condizioni
soggettive  e  personali o sociali che l'art. 3 impone di considerare
non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica.
    Sotto   tale   profilo,   peraltro,   il   disposto   della   cui
costituzionalita' si dubita lede altresi' l'art. 2 della Costituzione
il  quale sancisce il valore assoluto della persona umana, frustrando
uno dei diritti fondamentali dell'individuo.
    2. - Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
    L'ingiustificato  ostacolo  imposto per la tutela dei diritti del
cittadino  nella  sola  sede  giurisdizionale contrasta, inoltre, con
l'art. 24  Cost.  il  quale, espressamente, prevede che tutti possono
agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei propri diritti ed interessi
legittimi ed aggiunge che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento.
    La  sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il
netto  contrasto con quanto disposto dall'art. 204-bis posto che tale
norma  -  come  anche  la  Corte  costituzionale  ha riconosciuto con
sentenza  n. 21  del 1961 che ha dichiarato l'incostituzionalita' del
principio  del solve et repete - lede o limita il diritto di agire in
giudizio,   diritto  garantito  a  tutti  allo  scopo  di  assicurare
l'uguaglianza  di  fatto dei cittadini in ordine alla possibilita' di
ottenere una tutela giurisdizionale. Il diritto di agire in giudizio,
infatti,  non  puo' essere condizionato al pagamento di una cauzione.
Proprio il Giudice delle leggi ha piu' volte affermato (cfr. sentenze
n. 45/1993 - n. 80/1966 - ecc.) che occorre distinguere fra oneri che
siano  razionalmente  collegati alla pretesa dedotta in giudizio allo
scopo  di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla
sua  funzione e da ritenersi consentiti ed oneri che, invece, tendono
alla  soddisfazione  di  interessi  del tutto estranei alle finalita'
predette  e  che,  conducendo al risultato di precludere o ostacolare
gravemente  l'esperimento  della  tutela  giurisdizionale,  incorrono
nella sanzione della incostituzionalita'.
    La norma in questione, nell'imporre una cauzione al cittadino che
voglia  ricorrere in sede giurisdizionale nei confronti di un verbale
di  contravvenzione  al  novellato  codice della strada, e' in palese
contrasto   con   il  dettato  dell'art. 24  della  Costituzione  che
assicura,  invece,  anche  ai  non  abbienti  i  mezzi  per  agire  e
difendersi dinnanzi ad ogni giurisdizione.
    Si  consideri,  inoltre,  che  prima  della  «riforma»  di cui si
discute  il  ricorso  al  giudice  di  pace era del tutto gratuito in
siffatta  materia  ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da
solo  non  essendo  obbligatoria  la difesa tecnica. Non vi e' dubbio
che,  a  seguito  dell'imposizione  della cauzione che, a ben vedere,
altro  non  e'  che  una  vera  e  propria  nuova  tassa  sui ricorsi
giurisdizionali, il sistema e' totalmente cambiato ponendosi in netto
contrasto con il dettato costituzionale. Si e' anche venuta a creare,
peraltro,  la  paradossale situazione per cui l'eventuale opposizione
dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso l'ordinanza ingiunzione
emessa  dal  prefetto  a seguito del mancato pagamento della sanzione
successiva  al  rigetto  del  ricorso  non sarebbe soggetta ad alcuna
cauzione.
    Come  gia'  piu'  volte  affermato  da  codesta  Corte in materie
analoghe, l'illegittimita' della norma impugnata con i dettati di cui
agli  artt.  3 e 24 della Costituzione e' palese in quanto «... dalla
combinazione  fra  le  norme  contenute  negli  artt. 3  e  24  della
Costituzione,  si  deduce  che  il  principio, secondo il quale tutti
possono  agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri  diritti e
interessi  legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato
del    procedimento,    deve    provare   applicazione   per   tutti,
indipendentemente  da  ogni  differenza  di  condizioni  personali  e
sociali.».
    Con  tale  affermato principio contrasta l'art. 204-bis c.d.s. in
quanto,   prevedendo   la   imposizione   della  cauzione,  ricollega
l'applicazione  dell'istituto alle condizioni economiche dell'attore.
Cio'   anche   tenuto   conto   delle   gravi   conseguenze   (legate
all'inibizione  dell'azione  in  caso  di  mancato  versamento  della
cauzione)  rispetto  all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama
inviolabili.
    Ne'   la  disparita'  di  trattamento  fondata  sulle  condizioni
economiche     e'     necessariamente    eliminata    dall'esclusione
dell'applicazione  dell'istituto  nell'ipotesi  in  cui  l'attore sia
ammesso  al  gratuito  patrocinio  ed  al  beneficio  dell'assistenza
giudiziaria,   tal   beneficio   essendo   sempre   subordinato  alla
dimostrazione dello stato di poverta'.
    Ed    invero,    la    eventuale   esclusione   dell'applicazione
dell'istituto  nella  ipotesi  che  l'attore  sia ammesso al gratuito
patrocinio  non elimina la disparita' di condizioni, sia perche' tale
ammissione  e' subordinata alla dimostrazione dello stato di poverta'
dell'interessato  e, pertanto, dovrebbe essere rifiutata a chi non si
trovasse  in tale condizione, sia perche' il procedimento preliminare
per  la  concessione  del beneficio non e' sempre rapido come sarebbe
desiderabile pur essendo previsto un procedimento d'urgenza.
    Pare,  infine,  non  esiziale  rammentare  anche  che la legge 18
ottobre 1977, n. 793, recante abolizione del deposito per soccombenza
nel  processo  civile ha abrogato gli artt. 364, 381 e 651, c.p.c. in
limine  con  la  pronuncia di incostituzionalita'. L'assurdita' della
norma   dell'art. 204-bis,  d.lgs.  n. 285/1992,  e',  pertanto,  ben
evidente   atteso   che   nessun   procedimento   giurisdizionale  e'
subordinato   alla   cautio  iudicatum  solvi.  Talche'  neppure  nel
contenzioso  tributario,  ove  in  caso  del ricorso contro l'atto di
accertamento,  le  imposte  o  le  maggiori  imposte,  unitamente  ai
relativi    interessi    e    alle    sanzioni,   sono   -   a   cura
dell'Amministrazione   finanziaria   -   iscritte   a   ruolo   (c.d.
«riscossione  a  titolo provvisorio»), e' richiesto alcun deposito al
ricorrente a pena di inammissibilita'. Ne' questa rileva, o peggio e'
rilevabile  de  plano  (come  nel  caso  che  ci  occupa),  nel  caso
l'Amministrazione  finanziaria - accogliendo l'istanza del ricorrente
- sospenda la predetta iscrizione a ruolo.
    3. - Violazione dell'art. 41 Costituzione.
    Il  primo  comma  del  vigente  art. 2 del regio decreto-legge 10
marzo  1910,  n. 149, recita «Tutti i depositi di denaro, che secondo
le  disposizioni  vigenti  in  materia  civile e penale possono farsi
presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per
spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o
dai loro procuratori nell'ufficio postale incaricato del servizio dei
depositi giudiziari.».
    A   prescindere   da   eventuali  posibili  considerazioni  sulla
violazione delle garanzie di libera concorrenza e mercato - dovendosi
osservare  una  evidente  compressione per lo meno della liberta' del
ricorrente  di utilizzare un istituto bancario (addirittura quello di
propria  fiducia)  che, parafrasando la circolare n. 53 del 13 agosto
2003 del Ministero della giustizia D.G. giustizia civile, e' certo un
«organismo  abilitato a ricevere e gestire il deposito» al pari della
S.p.a.  Poste  italiane  - non puo' non rilevarsi un palese contrasto
innanzitutto  con  la  liberta'  di  iniziativa  economica cosi' come
riconosciuta  e  tutelata  dall'art. 41  della  Costituzione, laddove
viene  disposto  l'esclusivo  utilizzo  dell'Ente  Poste ed attesa la
privatizzazione  del  servizio  postale  con la trasformazione dal 28
febbraio  1998  dell'ente  pubblico economico Poste in «azienda Poste
Italiane» S.p.a.
    Da cio' la evidente incostituzionalita' del combinato disposto di
cui  agli  artt. 2  e  4  del  r.d.l.  149/1910  e 204-bis del d.lgs.
n. 285/1992, giusta quanto acclarato dall'art. 41 della Costituzione.
    L'illegittimita'  delle  citate  norme, pero', si sostanzia ed e'
evidente anche sotto altro profilo.
    Ed  invero,  la  soluzione adottata con la circolare n. 53 del 13
agosto  2003  del  Ministero  della  giustizia  D.G. giustizia civile
sembra  essere  per  piu'  di  un verso contra legem. Innanzitutto e'
senz'altro   impropria  l'ipotesi  interpretativa  offerta.  Il  d.l.
n. 151/2003  costituisce  fonte  posteriore  al  r.d.  n. 149/1910 e,
pertanto,  secondo i normali principi di interpretazione della legge,
deve  esso  prevalere  sulla  fonte  antecedente.  In  secondo luogo,
occorre  osservare  che il r.d. 149/1910 e' un regolamento, mentre il
d.l.  151/2003  (ed  il  c.d.s.  da esso modificato) sono atti aventi
valore  di  legge,  cioe'  fonti  primarie. Non e' dunque possibile -
cosi'   come  invece  vorrebbe  la  circolare  -  far  prevalere  una
disposizione  di  fonte  secondaria  su  una  disposizione  non  solo
successiva,   ma  introdotta  altresi'  da  fonte  primaria.  Non  e'
certamente  conforme  a diritto interpretare una norma di legge «alla
luce  della  vigente  normativa»,  allorche'  questa si riduce ad una
risalente norma di fonte sott'ordinata.
    4. - Violazione dell'art. 113 della Costituzione.
    Per  gli  analoghi  motivi sopra esposti l'imposizione della piu'
volte  richiamata  cauzione  di  cui  all'art. 204-bis  c.d.s. citato
costituisce  ostacolo,  ovvero  limitazione  almeno nei confronti dei
cittadini  meno  abbienti,  della  tutela  giurisdizionale  e cio' in
aperto  e  palese  contrasto anche con il secondo comma dell'art. 113
della Carta costituzionale.
    Appare  infatti chiaro che, in forza di quanto disposto dall'art.
204-bis  c.d.s.,  il cittadino non abbiente non puo' - per l'ostacolo
del   deposito   cauzionale   -   avvalersi  di  fatto  della  tutela
giurisdizionale   contro  gli  atti  della  Pubblica  Amministrazione
davanti   agli  organi  di  giurisdizione  ordinaria  riconosciutagli
dall'art. 113 della Costituzione.
    La  imposizione  dell'onere  del deposito cauzionale - previsto e
regolato    dall'art.    204-bis    c.d.s.   quale   presupposto   di
inammissibilita' del ricorso, nonche' della esperibilita' dell'azione
giudiziaria  diretta  a ottenere la tutela del diritto del ricorrente
mediante l'accertamento giudiziale della illegittimita' dell'atto e',
pertanto,  in contrasto con i costituzionali sopra principi enunciati
ed  evidenziati.  In  particolare  essa  e' in contrasto con la norma
contenuta nell'art. 3 della Costituzione, anche in combinato disposto
con  l'art. 2 Cost., perche' e' evidente la differenza di trattamento
che  ne  consegue  fra  il  cittadino  che  sia  in  grado  di pagare
immediatamente  detto deposito cauzionale e colui che non abbia mezzi
sufficienti  per fare il pagamento ne' possa procurarseli agevolmente
ricorrendo  al  credito,  in considerazione fra l'altro che, anche in
caso  di vittoria in giudizio, non otterrebbe il rimborso delle somme
versate  se non con notevole ritardo. Al primo, dunque, e' consentito
-  proprio  in  conseguenza  delle  sue  condizioni  economiche  - di
chiedere giustizia e di ottenerla, ove possa provare di aver ragione;
al secondo questa facolta' e' resa difficile e talvolta impossibile -
oltre  che  limitativa della propria dignita' - non solo di fatto, ma
anche  in  base  al  diritto,  in forza di un presupposto processuale
stabilito  dalla legge e consistente nell'onere del versamento di una
somma eventualmente anche assai ingente.
    Le stesse considerazioni valgono a giustificare anche il richiamo
alle norme contenute negli artt. 24, 41 e 113 della Costituzione, nei
quali  l'uso  delle  parole tutti e sempre ha chiaramente lo scopo di
ribadire  la  uguaglianza  di diritto e di fatto di tutti i cittadini
per  quanto  concerne  la possibilita' di richiedere e di ottenere la
tutela  giurisdizionale  sia  nei  confronti di altri privati, sia in
quelli dello Stato e di enti pubblici minori.
    Questo giudice e', pertanto, dell'avviso che il previsto deposito
cauzionale  di  cui  all'art. 204-bis  c.d.s. sia in contrasto con le
norme   della  Costituzione  e  che  debba,  in  conseguenza,  essere
dichiarata illegittima la disposizione che lo prevede.
    Per  quanto  sopra  esposto e motivato si ritiene, quindi, la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
e la sua rilevanza nel presente procedimento.